Premi "Invio" per passare al contenuto

Bertrand Russell, l’attualità di un grande del Novecento

Pace e non violenza. Questi temi furono molto cari a Bertrand Russell e per essi finì addirittura in carcere, nel tentativo di farsi ascoltare dal mondo e dai potenti. Pensiero logico, matematico, filosofico e morale… Cercò di trasmettere tutto questo sempre in modo semplice, senza inutili giri barocchi. Il Premio Nobel per la Letteratura che gli fu assegnato nel 1968, in realtà, gli venne conferito come Premio per la Pace perché Russell si stava proprio muovendo su un terreno che riguardava la pace. Il Novecento fu infatti un secolo complesso e difficile, sconvolto da due guerre mondiali e diviso dalla ‘Guerra fredda’. Ma fu anche il terreno dove si svilupparono nuove idee politiche e nacquero nuovi fermenti di pensiero che avrebbero gettato le basi per il secolo successivo.

In Bertrand Russell si può riconoscere un fondo di pensiero politico interessante, utile agli uomini del Terzo Millennio?

Assolutamente sì. Bertrand Russell scrisse un testo divenuto fondamentale nel corso della sua vita e delle sue riflessioni: “Strade per la libertà. Socialismo, anarchismo, sindacalismo”. Anche se in lui vi sono momenti di sconforto (“forse una ben ordinata prigione è tutto ciò che la realtà umana si merita” scrisse), egli non perse mai le speranze e auspicò “sicurezza contro gli estremi disastri minacciati dalla guerra mondiale; abolizione delle condizioni infime di povertà; un generale accrescersi della tolleranza e dei buoni sentimenti; successo dell’iniziativa personale in tutto ciò che non danneggia la comunità”, perché secondo Russell una comunità è buona se gli individui che la compongono esprimono al massimo le loro potenzialità.

La libertà dell’individuo, la garanzia dello Stato

Russell, infatti, credeva nell’individuo e nella sua libertà. Libertà da un governo paternalistico che vincola gli esseri umani per indurli a prendere ‘una direzione buona’ e libertà di pensare e creare, anche se in quest’ultimo caso l’uomo non deve comunque minacciare la libertà degli altri.

Secondo Russell, lo Stato nasce per mettere fine al conflitto che scaturirebbe da una società che non è ancora divenuta civile. Se gli uomini fossero lasciati in giro per il mondo, affermava, finirebbero con lo scagliarsi uno contro l’altro fino a distruggersi. Per evitare tutto questo, l’uomo cede allora i suoi diritti ‘a terzi’, cioè allo Stato. Ma come tutte le istituzioni, lo Stato ha la tendenza a metter radici eccessive oltre il bisogno che l’ha creato, perché per loro natura le istituzioni tendono a ingrandirsi, divenendo così nocive per la libertà inviolabile dell’individuo. Russell fece delle vere battaglie contro il nucleare e contro le guerre. Eppure in Italia si ritiene che non sia uno scrittore politico.

Sin dall’inizio, infatti, egli fece passi non occasionali nella politica. Discusse criticamente alcune ideologie politiche allora in voga; si chiese cosa fosse il potere; fece viaggi conoscitivi; fece un’analisi critica della democrazia; criticò gli utopisti ritenendo che il mondo da loro immaginato sia perfetto ma proprio per questo immobile, fermo e inadatto all’uomo. E ancora: dimostrò sollecitudine per le classi disagiate; individuò i limiti dello Stato; analizzò il rapporto tra individuo e organizzazione; studiò il ruolo dei tecnocrati.

Propose insomma uno Stato che ponesse fine a tutte le guerre.

Sostenne che il liberalismo fosse inefficace, perché non era riuscito a impedire la guerra e non era intervenuto sui dislivelli economici. La sua teoria politica finì così coll’utilizzare temi liberali e socialisti, insieme. Egli riteneva che fosse indispensabile una riforma sociale. Raffigurava nel liberalismo la forma migliore per difendere l’individuo, ma non per impedire la disuguaglianza sociale. Dovette dunque volgersi anche al socialismo. Provò simpatia per l’anarchismo, perché si propone di liberare l’uomo dalle costrizioni. Ma non lo giudicò adatto, perché riteneva che non si potesse abolire lo Stato, necessario a esseri umani ancora legati alla loro parte istintuale. Trovò infine molto interessante la proposta politica del sindacalismo, per la sua presenza reale del mondo del lavoro. Russell, infatti, predilesse sempre la parte operativa e l’azione concreta.

Il suo pensiero induce, dunque, a molte riflessioni che possono aiutarci a capire anche le politiche odierne, in particolare quella italiana. I parlamentari sono nella capitale ma le loro realtà sono altrove. Tendono a diventare una casta e a riprodursi, sono un ceto sociale elitario che crea lontananza con gli elettori e dunque incompetenza, perché alla fine i politici non conoscono bene i progetti che portano in Parlamento. Dove la sovranità non deriva da Dio ma dal popolo, è facile che si generi la ‘tirannide della maggioranza’. L’opinione pubblica forma come un blocco compatto che schiaccia le opinioni dissidenti, perché per la democrazia valgono le opinioni dei più, rafforzate ulteriormente dal sistema dei mass media. Gli elettori infatti finiscono col pensare ciò che leggono sui giornali.

Russell dibatté anche sul problema della lotta di classe e della rivoluzione. Tutte le ideologie presupponevano un momento di scontro. Egli invece credette piuttosto a un mutamento graduale e non traumatico dove alcune ‘minoranze attive’, composte da gruppi e associazioni, potevano avere più spazio nelle amministrazioni locali dando forza a un individuo che da solo sarebbe stato altrimenti debole.

Il diritto umano alla felicità

Russell criticò duramente anche il mondo del lavoro, in primis quello meccanizzato. Per lui questo lavoro non dava più gioia e costringeva gli uomini a ripetere sempre la stessa cosa, svolgendo solo un pezzetto del tutto che essi non vedono mai ultimato. Egli pensava piuttosto al lavoro artigianale medievale, così come strutturato nelle sue corporazioni. Ed era per quel tempo un’idea sconcertante. Per Russell dunque c’era un mondo di produttori e di consumatori. La riforma del mondo del lavoro doveva, secondo lui, riguardare entrambi e doveva coinvolgere anche il mondo del pensiero. Un mondo libero, per Russell, è il mondo dove le idee vengono prodotte in modo autonomo, dove si ha cura di quanto ci hanno lasciato quelli che ci hanno preceduto e nello stesso tempo c’è spazio per le varianti innovative introdotte dai ‘pionieri morali’. Secondo Russell, in questo modo si può arrivare a un uomo completo, che non è schiacciato dalle necessità economiche e che può espandersi. Una riflessione sulla società, secondo Russell, insomma non poteva andar disgiunta da una riflessione sulla natura umana. Proprio questo, in particolare, non si ravvisava nel socialismo continentale per il quale la felicità individuale si era separata dalla riforma sociale, ma in quello inglese”.

Ma se si scatenano certi ‘appetiti’, cosa fare? In uno Stato interviene lo Stato, ma tra Stati?

Uno Stato mondiale sì o uno Stato mondiale no?

Russell auspicò l’avvento di uno Stato mondiale, una sorta di autorità sovrastrutturale. La politica moderna si è oggi identificata con lo Stato. Si parla tranquillamente di Comunità Europea ma non mancano gli scettici di fronte a un’unità di Stati che si espande sempre più. Russell riteneva che se non si fosse intervenuti sullo Stato, ci sarebbe sempre stata una reale minaccia tra gli Stati stessi. Uno Stato mondiale avrebbe invece potuto garantire la pace necessaria, anche alla tutela dell’ambiente. Il rischio però – e Russell non finì mai di interrogarsi e di mettersi in discussione, perché egli non temeva di cambiare idea se questo serviva a trovare strade migliori –  era di incorrere in metodi repressivi e in conseguenze non facilmente prevedibili.

Credeva però nelle passioni modificate dall’intelligenza e non dimenticò mai i limiti dell’uomo.

Il limite dei limiti, diceva, è la Morte. Essendoci dunque per tutti un tempo definito, bisogna approntare metodi per raggiungere obiettivi concreti.

https://it.wikipedia.org/wiki/Bertrand_Russell

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *